Voce 1




"Parma... Parma... città abbandonata e ferita. Culla di bellezza e di morte.

Dominio sicuro per secoli fino al terribile 'Giorno della Falsa Apocalisse', quando giunsero gli Inquisitori in tutta la loro mortale ferocia. Sono passati quindici anni da allora. Molti di noi sono caduti, altri fuggiti, pochi sono rimasti, nascosti a Fortezza dei Rimpianti. Qui abbiamo creato un rifugio segreto, un Elysium perduto, dove ci incontriamo silenti pensanto alla vecchia gloria del nostro antico e glorioso dominio.

Ora è tornato il nostro Duca. Così almeno si mormora. Ma in molti ancora non l'hanno incontrato. Io ricordo il suo sguardo di ghiaccio, la sua voce crudele e il suo sorriso stretto e inumano. Ricordo la gloria di Parma sotto la sua guida, i numerosi fratelli protetti dalla sua ombra... la sicurezza di un regno senza fine.

Ha richiamato tutti per la nascita di un nuovo ducato, per un nuovo Concordato, per un nuovo inizio.

Lo riincontrerò e vedrò ancora il suo volto, che mi ha perseguitato nei miei peggiori incubi di questi ultimi anni.

Ma forse egli è il solo che può trascinarci fuori da questa ignobile tenebra che ci attanaglia l'anima. Questo terrore dei mortali che da predatori ci ha trasformato in miserabili prede..."

Raphael Wallace, Clan Malkavian

CREDIT: Antonino Galimi

Voce 2

Via Baganza era deserta a quell’ora della notte. Non che di giorno fosse affollata… L’oscurità era fitta e quasi le nere ombre degli alberi, proiettate da una pallida luna, non si distinguevano l’una dall’altra. Zaulo era stancamente appoggiato al parapetto che dava sul greto del fiume ed il suo sguardo era perso nel vuoto. Con cappuccio calato sul volto ed il pesante giaccone sporco e rattoppato pareva uno dei tanti barboni ed accattoni che bazzicavano lungo gli argini del Parma.

Lo squittio di un topo lo fece trasalire. La bestiolina gli si era accucciata accanto al vecchio scarpone, tenuto assieme da vari giri di nastro adesivo. Zaulo allungò la mano ed accarezzo il l’ispido pelo del topo. Gli occhietti rossi dell’animaletto si fissarono in quelli di Zaulo per un tempo che parve infinito.

“Vattene, topino. – disse il nosferatu – Non è serata… Vattene prima che decida di prendere anche il tuo sangue come dessert… Questa notte ho giù bevuto ed ho altro a cui pensare ora…”

Il topo scattò improvviso e si allontanò sotto una macchina parcheggiata poco distante.

Assenzio era appena visibile nella volta celeste, ma Zaulo sapeva bene cosa significava. Aveva letto e riletto quei vecchi fogli consunti e rovinati… Conosceva bene ogni passo del Libro di Nod e ciò che l’astro amaranto presagiva… ma ciò che aveva letto nel libro dei “Semi dal giardino del Crepuscolo” lo rassicuravano, dandogli quel senso di pace e speranza che tanto andava cercando. Con la mano cercò il crocifisso che gli pendeva al collo e lo strinse fra le dita.

“Sciocchi… sono tutti degli sciocchi… – pensò a mezza voce – Si agitano, si tramano, si ammazzano ancora l’un l’altro come se avessero a disposizione ancora mille e mille notti… Poveri sciocchi Fratelli…”

Avvolto nell’oscurità aveva assistito personalmente, un paio di notti or sono, all’omicidio di Milan Bramovich, un anziano Fratello nosferatu giunto in Parma meno di un anno fa… Non aveva visto in volto il Fratello che l’aveva assalito ma il modo cruento e brutale con cui l’aveva ucciso l’avevano impietrito. Tutto era durato il tempo di un sussurro e lui non aveva potuto far nulla per intervenire…

Zaulo prese dalla sua sacca il Libro e lesse alcuni brani… Trovava conforto in quelle antiche parole, anche in quelle che molti evitavano… Possibile che lui fosse uno dei pochi che avesse realmente compreso il volere dell’Antico? E Zaulo lesse, lesse tutta la notte, con io cuore gonfio di speranza.

Il cielo ad oriente iniziava a rischiararsi. Era ora di ritornare nella sicurezza del suo rifugio, dove quelli del suo sangue già stavano certamente riposando. Ripose il Libro nella sacca quando le sue dita toccarono il lucido cartoncino… No, non se ne era dimenticato, solo che questa notte aveva deciso di non pensarci, ma il fato aveva voluto diversamente. Delicatamente prese fra le mani la fotografia…

“Eccola ancora… Cosa significa? Cosa?” - Zaulo imprecò!

Il sole stava nascendo e la maledizione dell’arcangelo Raffaele stava per rinnovare ancora una volta. Il nosferatu rimise nella sacca la fotografia e scivolò veloce lungo il greto del Parma fino a scomparire completamente.

CREDIT:Antonino Galimi

Voce 3

Era seduto al tavolino di un bar che aspettava, un locale che non meritava la sua eleganza, gente di provincia che lo squadrava dalla testa ai piedi, uno straniero è pur sempre uno straniero e il 2019 non si discosta dal 1919 in questo… fottuta campagna Parmense.

Lei entrò… le attenzioni ebbero una nuova protagonista mentre un dolce profumo invase la stanza, il suo fare deciso ma sfuggente forse nascondeva soggezione o insicurezza.

Lui si alzò e le sorrise, si inchinò leggermente tenendo lo sguardo fisso negli occhi suoi cristallini, le porse lentamente il palmo della mano destra che presto accolse quella di lei per sollevarla, si abbassò leggermente con il busto per avvicinare le labbra al dorso della sua mano, senza toccarla ovviamente, l’importanza dell’etichetta.

Uscirono dal locale insieme più tardi, lasciando ai bifolchi i loro pettegolezzi prima di tornare alla Gazzetta dello Sport. Cercarono un posto tranquillo e appartato, lui ebbe il suo ultimo pasto prima di raggiungere Fortezza dei Rimpianti.

Aveva fatto un lungo viaggio. La Famiglia era in un periodo, diciamo difficile, ma la notizia aveva rincuorato i pochi rimasti.

Il Duca si era svegliato dal torpore, colui che si sacrificò per il bene della Famiglia, non sarebbe potuto tardare o mancare è una questione di rispetto…

…è sempre una questione di rispetto.

CREDIT: Diego Ferraglia

Voce 4

"Non so dove ora Tu sia... non so chi Tu sia... e a pensarci bene ormai non mi interessa più di tanto. Quando mi son risvegliato non sapevo chi io fossi. Ricordo solo che giacevo a terra esanime e che il sangue bagnava i miei capelli e avevo sete. Ma non di quella sete che un bicchier d'acqua o whisky può placare, la mia era sete di vendetta per quello che hai fatto.

Mi rialzai, quante volte ormai l'ho fatto, mi guardai attorno e non riconobbi nulla di quello che mi circondava. Odori di putrescenza, fumo negli occhi per il troppo vapore che usciva da una fessura nel muro e rumori che battevano in testa come martellate su di un incudine. Poi le risa, gli schermi di quelle vacche che camminano. Come mi chiamavano? "Barbone" "Vattene rifiuto". Corsi... corsi così forte che non mi accorgevo della distanza che stavo percorrendo, della fatica che non stavo facendo, della bellezza dell'aria sul mio viso, fino a che non arrivai nel bel mezzo di un bosco e li si che tutto passò. tranquillità serenità e comunione con la natura si impossessarono di me. Se potessi ricordare cosa o chi ero prima, direi che non sono mai sentito così vivo.

Non avevo nulla con me se non un biglietto del Teatro Regio di Parma e stampato in bei caratteri il nome Amleto. Ecco questo è un bel nome mi si dissi. Amleto. Vagai e imparai la legge della natura. Crudele ed equamente giusta. Feci la conoscenza di una vagabonda che abitava in una catapecchia vicino a Berceto. Lei sapeva cosa ero perché conosceva un branco di "quelli come te" che indirettamente la proteggevano. Quello era il loro territorio. Ora il mio. Il territorio dei Gangrel.

Diario privato di Amleto Primogeno Gangrel del Nuovo Ducato di Parma.

CREDIT: Marzio Lucotti

Voce 5




Ora l’inverno del nostro scontento è fatto estate sfolgorante da questo sole di York: e le nuvole che incombevano sulla nostra casa, sono sepolte nel profondo seno dell’oceano.

“Riccardo III”, William Shakespeare.

Il volto che la fissava dallo specchio non tradiva alcuna emozione. Avrebbe potuto essere una maschera dimenticata nella fretta di un carnevale interrotto, un rilievo scolpito sulla facciata di una cattedrale d’ombra. La pelle tirata sugli zigomi aveva il colore della neve sotto la luna. Era lucida come la cera di un antico sepolcro. Occhi simili a frammenti d’abisso, segnati da ombre violacee restavano conficcati nei suoi, impedendole di fuggire. Quando Miranda contrasse la mascella il riflesso la imitò, e in un istante l’immobilità di quel viso s’infranse, e le labbra simili a una ferita si contrassero nell’oscena parodia di un sorriso. Lei le fissò, con un misto di orrore e fascinazione, mentre si muovevano ad articolare una parola, un nome. Il suo nome.

Miranda. Mia dolce, bella Miranda…

Un brivido la scosse. Distolse con rabbia lo sguardo dallo specchio e afferrò una salvietta imbevuta di struccante. Iniziò a passarsela rabbiosamente sul volto, partendo dal naso, che il trucco sapiente aveva reso più grande, virile, leggermente aquilino. Man mano che gli strati di fondotinta e correttore venivano rimossi, la sua pelle compariva, di un pallore madreperlaceo, e le ombre che avevano scavato i lineamenti fino a stravolgerli svanivano, lasciando emergere un altro volto. La donna provò uno strano sollievo nel riconoscere se stessa, dietro l’artificio scenico. Era sorprendente come se ne stupisse ogni volta. Le guance ora non apparivano più scavate. Esangui, sì, poiché da infinite notti non s’imporporavano più, ma soffici di giovinezza imperitura. Le rughe incise nel cerone si scioglievano, rivelando la fronte liscia, gli occhi grandi, color del caramello fuso. Quando ebbe finito e la salvietta volò nel cestino con un parabola di foglia morta, il volto spettrale era scomparso dallo specchio ed era rimasta solo una donna arruffata, eternamente giovane, eternamente in fuga.

CREDIT: Federica Soprani

Voce 6

Un secolo… un secolo di interminabili guerre.

Crogiolato nei suoi cupi pensieri Jerry Joseph “Dutch” Schultz lo sapeva fin troppo bene.

Era a causa del suo passato che si trovava lì, in Svizzera, ad una maledetta festa del quale a lui non importava assolutamente nulla. Trovare, interrogare e uccidere. Poi prendere un treno notturno e tornare nel nord Italia, nella remota Parma. Invece il conflitto scoppiato tra la Torre Bianca e i Baroni anarchici portava dritto all’inferno. Avrebbe dovuto dire no, infischiarsene di quell’invasato, mandare al diavolo lui e la sua cricca di beccamorti. Tuttavia quella missiva non lasciava spazio a dubbi.

Anche il Duca Antonio Giovanni si era risvegliato dal Torpore e lo aveva invitato a tornare nel Ducato per ricoprire nuovamente il ruolo di Primogeno del Clan Brujah. Sarebbe bastato semplicemente cestinare quella lettera. Farla a brandelli e continuare a rimuginare su qualche remota terrazza nelle notti di Algeri, fingendo di leggere “Lo Straniero” di Camus.

Non sarebbe bastato.

Jerry, ripensando a quelle parole e all’elegante grafia del Duca, parve accennare un sorriso terribile, sull’orlo della follia. Il passato...a quello non si può dire di no… Il gangster statunitense chiuse per un istante gli occhi, cercando la concentrazione persa. Doveva stare calmo o tutto sarebbe stato perduto. Oltretutto, in agguato, celati tra la folla festante, vi erano sicuramente agenti della Seconda Inquisizione, pronti ad individuare qualsiasi traccia di Cainiti.

Si mise quindi a sedere, spense il mozzicone di sigaretta per poi accendersene nervosamente subito un’altra mediante un piccolo accendino d’oro consumato dal tempo.> Inspirò profondamente, pompando il sangue attraverso le sue membra morte, e reclinata la testa all’indietro creò una serie di anelli di fumo grigio e denso che, deformandosi, salivano fino a dissiparsi nel buio del salone.

Il Duca Antonio Giovanni…
Il Podestà del piccolo Ducato di Parma non sembrava essere cambiato.

L’americano sorrise amaramente mentre i ricordi gli sfilavano come un carosello di immagini fallimentari. C’era ben poco da ridere.
Cosa pensava di fare il Duca? Riportare le lancette dell’orologio a prima dell’apocalisse?
Di queste assurde battaglie erano rimaste soltanto le ceneri di tutti i Fratelli, sacrificati per qualcosa che sfuggiva alla comprensione. Il Libero Sindacato, quella notte, era stato sconfitto e quasi tutti i suoi membri avevano trovato la Morte Ultima. Proprio un bell’affare…

Jerry Joseph “Dutch” Schultz, tuttavia, aveva un difetto forse peggiore dell’anziano Giovanni che reggeva il Ducato. Una forma di ottusità che gli aveva sempre procurato un sacco di guai in passato: non sapeva dire di no, soprattutto a coloro che forse non riteneva amici ma che, fondamentalmente, rispettava. Per quanto detestasse il senso dell’onore del suo Sire, tipico della mafia italo-americana, Jerry aveva creato per sé un odice personale da rispettare. E a volte, in queste regole del gioco, valeva di più un nemico onesto che un amico disonesto.

Doveva ritornare in quella città che aveva smesso di chiamare “casa”.
Alla fine, una guerra valeva l’altra. Ciò che contava era combatterla.

CREDIT: Pasquali Giuseppe

Voce 7

Sono nata dove il vento porta ancora il profumo di vestiti puliti e caffè, tra le grida dei bambini e gli sgargianti foulard di vecchie che perdono la loro esistenza a parlare tra di loro… lì, dove l’erba sembra più verde vicino ai carrozzoni.

Siamo stati liberi, più in alto degli uccelli, più sguscianti delle anguille tra le tasche dei gadje. E siamo stati sputati, inseguiti, cacciati, additati… ma noi allora eravamo forti ed eravamo molti e per ogni nostro fratello perseguitato qualcuno ha sempre pagato.

Abbiamo corso a perdifiato nelle limpide notti di tutta Europa, con la tasche piene di beni altrui e la gola satura di sangue.

Ci siamo fatti tronfi dei nostri bottini, convinti che nulla nella nostra infinita oscurità sarebbe mai potuto cambiare… Finchè non abbiamo perso tutto. Nessun tarocco, nessuna linea sulle nostre fredde mani, avrebbe potuto prevedere tutto questo.

I nostri bottini si sono persi, i più cari oggetti di porodica sono stati barattati pur di avere rifugio per un’altra notte, per veder la luna alta nel cielo ancora una volta. I nostri riferimenti sono spariti: partiti, forse morti. La nostra libertà magari è partita proprio insieme a loro, verso una terra dove nemmeno i nostri carrozzoni posso giungere! E noi ci troviamo braccati, lontano dalla famiglia, a cercare aiuto nell’unico posto dove potremo essere al sicuro…

“E’ un samudaripen questo, sine moj, a cui nemmeno noi potremo sopravvivere. Soprattutto noi… Ricordalo quando saremo noi, tuo zio e tuo fratello contro il mondo...”

Dal diario di Aurica Majević
CREDIT: Gaia Granata

Voce 8

…Tutto era sospeso, come in un sogno… O un allucinazione forse?...

Nessun ticchettio per scandire le ore e la notte era identica ad altre notti senza di lei… Svegliarsi, nutrirsi, cercarla nei loro sguardi, nelle loro carezze, camminare senza meta… O forse si?... Tornare e addormentarsi… Sognare, forse…

Una bambola di carne… Era una bambola di carne persa nel labirinto dei sogni… La immaginava in quel luogo senza tempo, oltre lo spazio del reale… Oltre il velo del reale… Lui c’era stato molte volte… Troppe volte… Ed ora le voci erano tornate come quando era a Bethlem… Cercava di non ascoltarle e di capire come era cambiato il mondo durante la sua assenza… Ne perse subito interesse… Quelle voci, quei sussurri nella sua testa erano sempre più insistenti e faceva fatica pensare… Lo chiamavano in un luogo lontano… Più lontano, oltre il mare… Chiuse gli occhi e si portò entrambe le mani alla testa e si sorprese di sentire dolore… Era un richiamo forte… Il più forte che avesse mai sentito in tutta la sua esistenza…

“Raphael!”
Una voce femminile lo chiamò… Era quella di Alba… Riaprì gli occhi speranzoso ma vide l’imperiosa fortezza d’innanzi a lui… Alla vista di quella torri i ricordi della sua vita vennero a galla come il cadavere gonfio di un morto affogato… Era questa la “Fortezza dei Rimpianti”?... Chissà per quale cazzo di motivo l’avevano chiamata così… Quali rimpianti potevano avere quelli come lui?...
“Il Sigillo… Porta il sigillo!” sussurrò un'altra voce nella sua testa… E lui sapeva bene che i sussurri andavano assecondati… La mano destra scomparve nella tasca del cappotto stringendo l’oggetto al suo interno mentre le gambe muovevano verso il vecchio cancello di ferro…

CREDIT: Sebastiano Ravanetti

Voce 9

“…La legge è importante… Senza di lei, senza le regole, sarebbe tutto confuso, caotico, pericoloso… Un “gioco” parecchio pericoloso… Parliamoci chiaramente, noi Ventrue siamo per le regole e le leggi…

La Camarilla si basa su questo e queste solide basi hanno fatto si che nei secoli dopo la sua nascita, i “fratelli” potessero essere protetti sotto la sua egida… Quando infrangi le regole non può che accadere qualcosa di storto

Ciò che accade nel Ducato tempo fa mi fa venire in mente Chicago negli anni ’20… Jonny Torrio, Al Capone, Frankye Yale, tutti con una gran voglia di spaccare il mondo, di prendere il potere al di fuori della legge… Al di fuori dalle regole… Per un po’ gli era andata bene, ma poi lo stesso potere a cui avevano sacrificato la loro integrità gli chiese il conto in un modo o nell’altro… A Jonny se lo portò via lo stress e il cuore non resse, a portar via il potere a Frankye fu invece il piombo di una raffica di thompson…

E poi il mio preferito, Al Capone… Si considerava, ma forse lo era veramente, intoccabile, inavvicinabile, immortale… Allora il potere glielo strappò il fisco… A quel tempo ero un giovane agente dell’FBI, Kaleb Garofalo, e volevo dimostrare che i “paesani” non erano “mafia spaghetti mandolino”, ma che potevano dare un grande contributo di civiltà…

Quindi la mia parte è sempre stata quella della legge… E lo è ancora oggi in cui la vita mortale mi ha abbandonato ormai da molto tempo, tanto da essere lo Sceriffo di questo luogo proprio devastato a causa dall’assenza di leggi… Quelle della Camarilla… Ma è giunto il tempo e io sono pronto nuovamente a fare la mia parte… Proprio come ho fatto a Chicago in quegli anni in cui la regola era una sola… Quella del potere…”

CREDIT: Sebastiano Ravanetti

Voce 10

“No… Neanche così va bene…”. Si avvicinò lentamente alla credenza, il primo cassetto era già aperto. Prese un fazzoletto bianco e con estrema cura cominciò a pulire il suo kris dal sangue coagulato. L’odore del ferro, acre e pungente, permeava la stanza. Le note dell’autunno di Vivaldi, ormai alle battute finali, si diffondevano per l’ambiente.

Sollevò l’interfono dalla parete e premette un tasto. – “Tra quindici minuti manda le pulizie nella due. È già pronto il fascicolo sul nuovo ospite?” – Una macchia ostinata non aveva intenzione di sparire dalla lama opaca – “Molto bene, lascialo sulla mia scrivania.”

Riposto l’interfono si guardò intorno, lentamente, come farebbe qualcuno che ha l’eternità davanti a sé, ma con una vena di nervosismo, poiché non era affatto disposto ad attendere un’eternità per ottenere risultati.

Posò gli occhi sul suo ultimo fallimento, infastidito, e strappò con un colpo secco un lembo di stoffa dalla manica destra, che usò per far finalmente sparire quella macchia che gli stava dando tanta noia. Si sedette dunque sulla poltrona posizionata all’angolo della stanza.

“Non andrò da nessuna parte, così. Non si può costruire una piramide con un solo mattone. Non ho scelta, troverò altri Stregoni. Starà poi a loro decidere se essere solidi mattoni o liquida malta tra essi.”

CREDIT: Alberto Grignaffini

Voce 11

È quello incappucciato chi è? Non sapevo si tirassero dietro un Nosfe.
Non è un Nosferatu, è sempre un Giovanni
Ma non mi hai appena detto che si vestono tutti eleganti?
Eh, lui no.
Però, perché?
Non ti serve un bell'abito per scavare delle fosse.

Ma il discorso dei due infanti non era nuovo al Becchino, molti prima di loro avevano discusso del suo fare inusuale.

Il Becchino fú Guido DiReggia Giovanni, un medico e un condannato a morte in tempo di guerra. Ora la sua figura nera, ammantata da una pellegrina o da spessi cappucci, spicca lugubre come un fantasma di cui nessuno vuole ammettere l'esistenza.

Becchino, questo il suo ruolo e questo il suo nomignolo, è noto ai più per il puzzo di terra umida e per i mazzetti di chiave dall'uso intuibile. Del suo ruolo si parla poco e nulla ma il suo ruolo si è intuito da diverso tempo. Certi Fratelli infatti sono certi che La Famiglia non abbia smesso di interrogare i morti e di compiere i propri oscuri inganni a beffe della vita e della non-vita stessa. Come questo avvenga è ignoto e solo il Becchino pare inserirsi in queste teorie.

La fantasia dei più giovani nel ducato ha delocubrato di once di polvere e piastre elettriche in sale chirurgiche segrete, in cui il Becchino taglia è ricuce come un moderno Frankenstein ogni sfortunato trovato dalla sua pala.

Fermo, che quello ci sta fissando...
Ma come lo vedi sotto il cappuccio?
Ah, mi sento i suoi dannati occhi da spellacadaveri sul collo, neanche mi voglia usare come cavia
Non ti seguo più, che intendi?
Girano storie, non è normale un Giovanni del genere, c'è né saranno rimasti pochi come lui.
Di cosa?
Di pizzica morti. Ora smetti di fissarlo che porta male.

CREDIT: Guido Campanini

Voce 12

La nebbia ricopriva le strade e i vicoli di Parma, una foschia fredda e fitta divenuta ancora più chiara alla luce della luna. Nel silenzio notturno i passi in corsa veloce di due creature, con il fiato pesante, "Perché hai voluto prendere quella dannata lettera da quell'insulso messaggero?!", disse uno dei due tra un respiro affannoso ed un'altro.

L'altro continuò a correre, senza fermarsi e senza guardarsi indietro, "Qui!", esclamò tirando per un braccio l'altro dentro ad un vicolo chiuso. Si fermarono, riprendendo fiato, tremanti, "Questa lettera ha il sigillo dei Giovanni, è preziosa per noi, se la consegnassimo a chi di dovere potremmo farci un nome", disse ansimando sventolando quella busta nera; "Tu sei pazzo, hai idea del casino in cui ci stiamo cacciando?!", rispose l'altro infuriandosi.

Si fissarono dritti negli occhi per qualche istante per poi mettersi a ridere di gusto, fino ad udire dei passi avvicinarsi a loro dall'oscurità del vicolo. Fermarono le risate e si girarono di scatto verso il buio, intravedendo una sagoma con un elegante completo nero che li fissava senza esprimere una parola; "E tu chi saresti? Vuoi questa busta? Ci dispiace ma serve a noi", esclamò quello con la lettera, "Si esatto, se la vuoi vieni a prendertela se ci riesci", disse l'altro.

La figura uscì dalle ombre, il suo volto freddo li fissava, loro rimasero impietriti, "Tu sei.." cominciò uno dei due, mentre la creatura di scatto si lanciò su di lui conficcandogli un pugnale dritto nel cuore.

L'altro rimase a fissare la scena terrorizzato facendo qualche passo indietro cadendo per terra. "Tienila! Prenditi questa lettera ma lasciami stare!", urlò a gran voce porgendo la busta, la creatura si avvicinò afferrando con la mano sinistra la busta per poi voltarsi, "Bastardo!", esclamò l'altro alzandosi di scatto per scagliarsi sulla creatura che con rapidità estrasse dalla fondina sulla gamba destra una pistola sparandogli dritto in mezzo alla fronte. "Pr..Primogeno Al-Maqami...", disse una voce tremante dall'inizio del vicolo, "Chiedo perdono per essermi fatto soggiogare lasciando che rubassero le lettera, non commetteró più errori", continuò quella voce mentre uscì una figura goffa da dietro uno dei muri.

Il Primogeno avanzò verso di esso, estraendo il coltello dal corpo del cadavere, "Porta a termine ciò che ti è stato ordinato", disse con voce profonda, "Il Duca vuole che queste lettere siano consegnate e subito, quindi muoviti o il prossimo sarai tu". La figura prese la busta e fece per andarsene, si girò un istante, "Primogeno, se daranno la colpa ai Banu Haqim per questo?", gli disse a testa bassa; "Non succederà, ora sparisci e quando farai ritorno riferisci al Duca che farò ritorno quando avrò svolto il mio compito", disse per poi tornare verso l'oscurità e sparire in essa.

CREDIT: Simone Bellengi

Voce 13

Nei racconti che ho udito nel corso dei secoli, la battaglia avvenne all'alba o in pieno giorno... ma fu di notte in verità che lo massacro venne perpetrato...

Col favore delle tenebre il sangue andò a dissetare il suolo di queste vallate, sangue di nemici, sangue di uomini che avevano l'unica colpa di servir il signore di Placentia e di essere invasori.

La rocca del mio signore, posta sul picco carminio non cadde ma la vittoria per me ebbe il sapore del fiele e mi condusse alla damnatione....

Non canto di gioia ma il feretro dell'amata mi accolse al ritorno vittorioso, l'inganno che distrusse i piacentini distrusse anche la mia vita e per i suicidi non può esservi pace...

Sia maledetto il Fato per avermi fatto perder le mie amate, sia maledetto me stesso per essermi negato il tormento della vita e sia maledetto il duca che non mi concede requie.

Il padrone chiama...e io debbo servire."

CREDIT: Matteo Campagnano

Voce 14

"COSA?"

Il rombo dei motori si fermo all'mprovviso mentre la colonna di moto dei Death's Riders, la gang di motociclisti che teneva sotto pugno di ferro le strade di Parma, si fermava al comando del loro capo, Deth Khan.

"Si, mio Khan.. il Duca si è ridestato ed ha indetto un consiglio al vecchio castello.." disse il Sergente dei Death's.

"Impossibile! Saranno passati almeno 15 anni!" sbraitò il Khan "Pensa di ritornare a governare Parma? Non ha capito che le cose sono MOLTO diverse, adesso è la strada che comanda! Ed il nostro dominio è indiscusso! Camarilla, Sabbat... sono rottami del passato! I Death's Riders sono il presente! Andrò a ficcarglielo nella testa e se avranno qualcosa da ridire... crollerrano assieme a quel vecchio rudere!"

"Ma il Duca è potente, ed ha richiam.." il Sergente non riuscì a finire la frase che il demone di ferro del Khan già sputava fuoco; un rumore stridulo di gomme sull'asfalto, un forte boato del motore e Deth Khan era già lontano...

CREDIT: Kal

Voce 15

La musica classica permeava l’aria della stanza, circondando in una sinfonia di bassi e acuti i pensieri di Odoardo, comodamente adagiato su di una poltrona di pelle, mentre meditava osservando il lento colare degli archetti dell’alcool scendere inesorabili nel purpureo liquido contenuto nel calice di cristallo

...quanto aveva bisogno di riflettere…
…quanto era cambiata la sua non vita in pochi anni…
…quanto era caduto in basso il Ducato di Parma....
...quanti fratelli aveva visto trovare la morte ultima…
tutto sembrava volgersi contro i suoi piani come il mondo che stava comodamente adagiato nelle mani del Clan dei re fino a pochi anni fa e ora scivolava rischiando di cadere.

Lo scrocchiare del legno del pavimento lo fece riprendere dal turbinio di considerazioni sul passato scosse la testa come a distogliere la mente da quel vorticare di pensieri e osservando il ritratto sulla parete di Alessandro I Farnese o come tutti lo conoscevano Paolo III nel suo cuore si accese una fiamma di orgoglio

Noi non siamo fatti per vivere come ratti…
Noi non siamo fatti per nasconderci negli angoli bui e sussurrare nelle orecchie con parole tremanti…
Noi siamo creatori di imperi…
Noi diamo la luce e la togliamo a nostro piacimento a questo mondo malato…
Dobbiamo riprendere ciò che è nostro, dobbiamo guidare i nostri fratelli ad una nuova era…
Siamo i burattinai di questo mondo….e dobbiamo riprendere ciò che è nostro.

Caino ci ha donato la non vita…
il Sangue ci dona il potere…
i clan ci donano il nostro ruolo di guide …
la Camarilla ci dona l’ordine di cui questo modo abbisogna…
l’umanità lo scopo di guidarli.

La Torre Bianca è l’unica scelta per questo Ducato, l’unica ombra sotto la quale i fratelli possono trovare ordine e protezione e grazie ad essa tornare a prosperare sui domini degli uomini.

Alzandosi dalla sua poltrona cammina nella sala passando sotto i ritratti dei personaggi più illustri della sua famiglia e stuzzicando l’anello con il simbolo di famiglia sorride compiaciuto mentre solleva la cornetta di un vecchio telefono a filo…

CREDIT: Giacomo Ramacciotti

Voce 16

“…L’arte, quella vera, è tra una nota e l’altra di un pianoforte… Respira tra le pause di una canzone, nutrendosi della voce… Nessuna espressione artistica è più vicina alla perfezione come quella della musica e del canto… Dalla musica possono nascere versi meravigliosi, dipinti in cui perdersi, statue a cui si potrebbe donare l’alito della vita per la loro perfezione…

Noi siamo così, statue perfette in un modo disordinato che vorticano in un cielo notturno costellato da stelle caotiche, uniche luci del palco dell’oscurità…

C’era un tempo in cui il mio placo era quello di un teatro, in cui la mia voce giungeva alla platea, più su, più su, potente fino ai loggioni e gli applausi erano una corona sulla mia testa… Ero una regina con un regno di suoni e colori meravigliosi… Ma come tutti i regni prima poi sono destinati a cadere, anche la mia corona cadde con un rumore sordo sul pavimento della vita… Una piccola lesione ad una corda vocale mi dissero… Il suono della mia voce era cambiato, una inflessione impercettibile che però non poteva sfuggire al mio orecchio… Così mi misi da parte come un vecchio strumento scordato… Dai teatri ai cabaret, insoddisfatta di me stessa, senza futuro, senza scopo, sul punto di abbandonare la vita…

Ma chi ascoltò il mio solfeggio di disperazione, giunse per donarmi un nuovo domani e la notte divenne il mio teatro… Così mi sorprendo a vagare in questa fredda e vuota fortezza ascoltando il suono dei miei passi, quell’eco musicale che solo il rumore può generare… Tutto qui è rimpianto… Sta a me cancellarlo e riportare lo sfarzo e la grandezza di un tempo...

Dopotutto sono l’Arpia di questa vecchia corte che lentamente si sta risvegliando ed il peso della responsabilità della perfezione è sulle mie candide e soffici spalle di seta… Sarà una grande festa e mio sarà il merito, mia sarà l’arte che flagellerà quei fasulli artisti pieni di rimpianto, rose senza spine i cui petali cadranno uno ad uno, straziate dal suono della mia voce più potente di quella di un tempo!...

Fermo i mei passi in questo grande salone dai pesanti tendaggi rossi come il sangue ed osservo il mondo da questa grande trifora, come fossi ancora una volta su un palco di tetro, fremendo e pianificando… In silenzio, perchè l’arte, quella vera, è tra una nota e l’altra di un pianoforte… Respira tra le pause di una canzone… La mia canzone…”

CREDIT: Sebastiano Ravanetti

Voce 17

La figura correva trafelata nel vicolo, il suo viso deformato dalla paura.

Ad un tratto, dal buio di un androne, un artiglio emerge dalle tenebre ed afferra con forza il malcapitato, trascinandolo dentro e scaraventandolo contro il muro.

Una figura ammantata si erge dall’ombra e si china su di lui.
I suoi occhi sono due pozzi neri.
Comincia a parlare lentamente: “Amico mio, perché fuggi? Lo sai dobbiamo parlare, il Duca lo vuole.”
L’uomo comincia a squittire, mentre cerca di mettere distanza tra lui e l’apparizione “GRAZIANO, NON è COME CREDE, COME POTEVO SAPERE CHE CI STESSERO SPIANDO, COME POTEVO SAPERE CHE AVREBBE PARLATO!!! AIUTOOO!!”

La voce di Graziano rimane monotona.
“Abbassa pure la voce e tranquillizzati, Claudio. Le tenebre ci proteggono, nessuno può sentirci, nessuno può vederci.”
“Sai, hai molto deluso il Duca. Nella sua infinita generosità ti aveva affidato dei segreti, ma tu hai peccato. Hai peccato di vanità.”
La voce di Claudio è ormai un filo: “Ti prego, ti dirò tutto, tutto quello che vuoi sapere. Non sei obbligato a farlo, lasciami, non mi rivedrete mai p…”
La frase si interrompe.

Gli occhi di Claudio si sbarrano, mentre l’artiglio di Graziano si fa largo nel suo torace e si stringe attorno al suo cuore. “A me non interessano i segreti. A me interessa mantenerli. Tranquillo, questa è una buona morte, migliore di tante altre che ho eseguito. Ora riposa.”

CREDIT: Andrea Pedrini

Voce 18

"…Chiuse gli occhi cullandosi per un istante nel suono delle automobili che sfrecciavano sulla strada a poca distanza dalla fortezza…

Quel rumore la face pensare… Poteva immaginare le luci, la vita che pulsava nei locali notturni, coppie ansimanti avvinghiate in auto parcheggiate e dai vetri appannati, uomini d’affari che tiravano cocaina nei bagni dei Night… Quella era la vita… Ogni vita le interessava… Ogni passione, ogni amore, ogni storia, ogni vizio… Qualsiasi cosa poteva essere utilizzata per uno scopo… Qualsiasi anima aveva un prezzo e lei lo sapeva bene…

Quanti si erano venduti per poco, incuranti che la corruzione avrebbe poi posto un marchio indelebile nelle loro anime… Aprì gli occhi e lo sguardo si posò sul calice di cristallo che teneva nella mano destra ed intinse l’indice della mano sinistra nel liquido rosso scuro per poi portarlo alla bocca per bagnarsi le labbra con gesto enfatico ed elegante… Era freddo, quasi coagulato… Purtroppo nutrirsi era diventato difficile e si doveva fare, come si diceva, “di necessità virtù”…

Sorrise pensando quanto fosse ridicolo che una come lei, Margot Françoise Sagan de Bordeaux, Primogena del Ministero, i Figli di Set, parlasse di virtù… Le notti sarebbero nuovamente state propizie e avrebbe potuto nuovamente crogiolarsi come un aspide al calore della perdizione… Bevve in sol sorso brindando al futuro, perché era sicura di poterne vedere uno, per poi lanciare il bicchiere contro la parete mandandolo inevitabilmente in mille pezzi…

Si lasciò cadere sul divanetto con una risata cristallina, lasciando che i canini brillassero alla luce delle candele… “Pazienza” sussurrava… “Pazienza… La tua notte verrà… La tua notte verrà…”…

CREDIT: Sebastiano Ravanetti

Voce 19

Due uomini uno più corpulento dell'altro. Sullo sfondo un braciere, in una notte umida e fredda tipica di Novembre.

"Cosa vorrebbero?" - l'uomo più basso fissando da lontano le fiamme del braciere e digrignando i denti.

"Se mi ascolti...vorrebbero ridiscutere i confini e ridisegnare l'assetto del territorio" - l'omone mentre ravviva il fuoco.

"E quando?" - l'uomo ora seduto

"Al più presto... penso in Elysium visto che è territorio franco per tutti. Lo so che per te potrebbe essere una seccatura... e non sbuffare so bene come la pensi" - l'omone ora anch'egli seduto a debita distanza.

"Se fosse per me questa farsa non avrebbe luogo"

"Sai bene che si deve fare e che bisogna mantenere gli equilibri del Ducato" - l'omone repentino.

"Si l'ho capito... ma l'idea ascoltare i Damerini, gli Artisti e tutti i Ciarlatani mi fa venire il cimurro" - con palese espressione di disgusto sul volto.

"Vedi tu io devo presenziare e dovresti presenziare pure tu in quanto Primogeno" l'omone in tono sardonico

"Non sfidarmi" - l'altro in tono fermo.

"Perché? che faresti?" - l'omone in tono di sfida.

"Probabilmente nulla. Ho troppo rispetto per me e per questi boschi".

"Come vuoi... sempre disponibile a scambiare due "chiacchiere" con te".

"Si si ok... ora gradirei starmene da solo ora. A domani Custode Saifer"

"A domani Primogeno Amleto"

CREDIT: Marzio Luccotti

Voce 20

Ed infine, eccoci.

Come temevo, quei maledetti succhiasangue non hanno resistito alla tentazione di radunarsi per le loro pompose ostentazioni di potere.

Troppi, per un solo castello.

Troppi, per un solo territorio.

Il nostro.

Sembra che un loro anziano si sia risvegliato e che vengano per omaggiarlo, per rinsaldare antichi patti.

Per pianificare.

Per ordire trame.

Per ricordarci che esistono.

Ma noi lo sappiamo, abbiamo sempre saputo che questa pace armata non poteva reggere.

Sono palesi i loro intenti, e non soltanto a noi.

Gli spiriti della natura parlano, ci mettono in guardia sul sopraggiungere di una grande minaccia, attirata qui da quegli sciocchi.

Pagheranno caro per la guerra che stanno portando, pagheranno col sangue.

CREDIT: Andrea Pedrini

Voce 21

“…Cosa si può amare di più dell’arte dell’inganno? Alla fine la Masquerade non è questo?

Perpetrare l’inganno della vita per sopravvivere tra le “pecore” come li definiscono altri…

Io no… Io amo i mortali, li trovo dinamici e affascinati nella loro fragilità... Così ci vestiamo di roseo mortale, indossiamo il purpureo per nascondere labbra esangui… Indossiamo la vita per nascondere la morte… E’ per questo che amo l’arte della moda… Perché è inganno… O verità…

Ogni abito maschera ciò che realmente sei o può parlare di te, può ingannare l’occhio di chi osserva, nascondere i difetti del corpo o può rivelare la tua personalità… Un accessorio può dire molto di più della tua anima che mille parole gettate al vento…

Quanti abiti ha indossato Parma, la “Piccola Parigi” come amava definirla Maria Luigia… Con lei e il suo consorte il Ducato fu vestito a festa, un abito sfarzoso che ricordava le luci e i giochi d’acqua delle feste di Versailles… Ma all’interno di quella stoffa di velluto, tra quelle balze di pizzi e merletti raffinati, v’era un corpo decadente e accidioso nella sua ostentazione dell’opulenza…

Poi giunsero loro… I Giovanni… E il Ducato cambiò d’abito, come la moda cambia a seconda dei tempi che corrono… Il vestito vistoso si fece elegante ma essenziale, giacca, pantaloni con “taglio di lato”, camicia, cravatta… Ma un dettaglio è sfuggito ai più…

Non a me, Selene Serafini, stilista del Clan della Rosa… Occhiali scuri… Parma indossava occhiali da sole per nascondere lo sguardo… Un accessorio può dire di te molto più di mille parole gettate al vento… Ed ora che sono passati 15 anni, di che abito si vestirà questa “Fortezza dei Rimpianti”?... Forse potrei confezionarne uno su misura… Basta avere la stoffa giusta…”

CREDIT: Sebastiano Ravanetti

Voce 22

Ormai fuggiva da giorni, inseguiva quel cavallo bianco, sapeva che in un modo o nell’altro avrebbe trovato la via d’uscita…Gli inquisitori ormai erano vicini , era riuscito a strappare la giugulare a uno di loro e a rubare il suo cappotto , l’odore d’incenso che permeava da quella pelle gli fece sobbalzare lo stomaco, rigurgitò.

Spari non molto lontani lo fecero ritornare alla realtà, corse ancora, e ancora …ma lo avevano attirato proprio dove volevano , allora sì fermò, ripensò a tutta la strada fatta per incontrare coloro che avevano rappresentato il forte Ducato di Parma e di cui aveva sentito parlare…

Ecco lo vide con la coda dell’occhio, infilarsi in quel tombino, il suo inconfondibile manto bianco. Tra lui e la morte, dei lavori in corso al sistema fognario e allora corse loro incontro e poi con un tuffo si butto la sotto, e continuo a correre…a correre…a correre …non sapeva dov’era, si trovò dinnanzi ad una porta con antichi stemmi scolpiti, percepiva qualcosa di forte, di potente. Sapeva che li dietro si celava la soluzione ai suoi problemi.

Con un calcio la porta si apri ed allora venne investito: "Ed io udii uno dei quattro animali che diceva a guisa che fosse stata la voce d’un tuono :VIENI E VEDI. E io vidi, ed ecco un cavallo bianco; e colui che lo cavalcava aveva un arco; e gli fu data una corona ,ed egli uscì fuori vincitore...”

Continuò per molto, molto tempo, vide ciò che vide lui, e poi finalmente udì la sua voce.

Vieni e Vedi, è tempo che il Ducato sia ancora, è tempo che i fratelli siano riuniti e che il Vero apra finalmente loro gli occhi.

I neri occhi del Duca lo stavano fissando, e come se lo avesse da sempre conosciuto con un cenno del capo lo seguì…

“Tu Fares sarai mio Delfino, tra i pochi hai visto la verità, a te è stata mostrata la strada…

CREDIT: Lorenzo Bellini

Voce 23

Dopo il 2004, l'NSA è riuscita a crackare SchreckNet e ha acquisito la conoscenza diretta dell'esistenza di una razza di succhiasangue non morti, diffusi in tutti gli angoli del mondo. Condividendo le loro conoscenze con altre agenzie di intelligence, i Servizi Segreti uniti contattarono il Vaticano, che sapevano avere esperienza nella lotta contro i non morti. La Chiesa accettò, concedendo loro l'accesso alle sue risorse, nonché agli esperti cacciatori di streghe della Società di Leopoldo.[…]

Nel 2008 una forza unita USSOCOM e Vatican ESOG, in aggiunta a team esperti di Cacciatori brasiliani, ha preso d'assalto la Piramide del Clan Tremere a Vienna e l’ha distrutta, facendo comparire l’ISIS come colpevole.

Londra, Las Vegas, Parigi e Marsiglia furono in gran parte liberate dall'attività dei Vampiri, con numerosi di questi catturati e divenute cavie per scoprirne i punti deboli.

La potenza unita di queste forze ha travolto i non morti. I Domini, indeboliti dalla scomparsa degli Anziani che nel mentre furono chiamati in Oriente dal Richiamo, caddero riportando decine di morti.

Gli Anarchici incolparono la Camarilla di aver fallito in un momento così critico ed una rivolta globale ebbe luogo contro di loro, indebolendo ulteriormente la setta.

Le comunicazioni tra Domini sono diventate un affare pericoloso: la maggior parte dei Domini di Vampiri sono diventati isole solitarie che ricorrono all'utilizzo di codici complessi per scambiarsi messaggi. Mentre la Camarilla ha vietato qualsiasi forma di comunicazione elettronica, gli Anarchici infrangono questa regola, aggirandosi pericolosamente vicino alla violazione della Masquerade e portando l'Inquisizione sulle loro teste, ma di conseguenza sono meglio collegati tra loro.[...]

L'esistenza della Seconda Inquisizione è un segreto clandestino anche tra i vari servizi segreti da cui provengono. La maggior parte del personale comune sa solo dell’esistenza di attacchi coordinati contro terroristi o minacce simili. Le loro operazioni sono guidate da una collaborazione intra-agenzia chiamata FIRSTLIGHT che si sforza di mantenere le loro attività nascoste al pubblico e persino ai loro superiori. FIRSTLIGHT ritiene che qualsiasi funzionario governativo potrebbe essere compromesso ed essere in segreto uno schiavo di un Vampiro.

La parola "Vampiro" non compare nei briefing ufficiali. Invece, gli agenti parlano di "corpi vuoti", riferendosi alla bassa temperatura corporea dei non morti che li contrassegna come disumani.

CREDIT: Vampire The Masquerade 5° Edizione

Voce 24

One's for sorrow
Two's for joy

Nei tempi antichi, fin da quando i primi popoli europei attraversavano le foreste senza tempo del centro europa, occhi furtivi li spiavano beffardi. Nelle gioie e nei dolori il mondo oltre lo specchio ha sempre guardato invidioso e beffardo il mondo della veglia. Oltre il tempo, oltre la vita, la giovane arcadia ha seguito così le vicissitudini dell’uomo da vicino volendo imitare quel mondo così strano e lontano dal sogno.

Three's for a girl and
Four's for a boy

Nelle pallide e folli imitazioni, ogni abitante dell’arcadia ci pare un cruento fraintendimento con regole assurde e agitato da violenza, magia e incubo. Così sono nati i Principi delle Stagioni. Figli rubati alle proprie culle e allevati dall austera madre gelo nel suo voler imitare i caldi focolari famigliari che da sempre la ossessionano, lei che non può sentire che il freddo.

Five's for silver
Six for gold

I quattro principi però non ci sembrano più umani, anzi sono tanto folli quanto chi li ha sottratti al nostro mondo. Tra questi vi parlerò del Principe d’Inverno, preso da una culla abbandonata, figlio di una madre morta, odiato dal padre e gioia di esseri senza compassione.

Seven's for a secret never told

Il Principe d’inverno vanta il potere delle bugie più bieche, della passione manipolatrice e della volontà dell’oppresso. Sanguinario, senza rimorso alcuno senza passione se non per la sua personale guerra verso l’amore. L’amore non l’ha mai ricevuto, refrattario a quel calore tanto ostile per lui. Ora dove lo riconosce adora distruggerlo. Le sue prede sono coloro che ne soffrono con maggiore intensità. Le trova e le cattura per porre fine a quel sentimento. Le tortura e le appesta perché il loro amore diventi odio o peggio, nulla.

Devil, devil, I defy thee
Devil, devil, I defy thee
Devil, devil, I defy thee

CREDIT: Guido Campanini

Voce 25

Il secco rumore del pluriball echeggiò nei sotterranei. Uno schiocco alla volta, l’involucro si schiuse, rivelando una statuetta dalle fattezze di sciacallo.

“È ciò che stava cercando, signore?”

“Si, Alfredo”. Gracchiò una voce dalle profondità della spelonca, poco più d’un sibilo.

“Quindi ora ha tutto?”

“No, Alfredo”. Ancora una volta le parole sibilarono, sferzando l’aria.

“Partirà lo stesso?”

“Si, Alfredo”. E per una terza volta, la voce si perse nell’oscurità.

“Andrò a recuperare l’ultimo pezzo io per lei allora, signore. Ricordo vagamente dove si trova Parma”.

“Si, Alfredo. Portati qualche sacca”. Pochi minuti dopo, un signore sulla trentina risalì dall’oscurità. Uscì dal basamento di una casa fatiscente nei sobborghi di Istanbul, e volse il proprio sguardo al sole che sorgeva. L’Italia, la sua patria, da tanto gli mancava. A Parma regnava un vecchio amico del suo signore e padrone, non avrebbe avuto problemi con i Vampiri di là. Guardò la valigetta alla propria mano sinistra: il sangue del suo sire. Sarebbe durato per 6 mesi. Sarebbe morto senza: nessun umano vive più di 100 anni senza vitae, e lui aveva da tempo superato quella soglia. Alfredo Valferro strinse la valigetta: doveva tornare alla svelta, altrimenti sarebbe stata la fine.

CREDIT: Davide Carcelli

Voce 26

“Ci siamo tutti?”

Refoli di vento gelido ricamano di sussurri sommessi le volte incrociate che sormontano l'ampio salone. Ma persino quei sussurri paiono zittirsi a quell'appello. Ci vuole un po' più di tempo perché le voci scemino. Alla fine il silenzio è così perfetto da rendere assordante il posarsi della polvere.

Solo quando è certa di avere l’attenzione di tutti i presenti la donna annuisce. Sa bene quanto sia difficile ottenerla, quell’attenzione. Chi la segue esige costantemente di essere ascoltato, ma di rado ricambia il favore. Tuttavia l’occasione è tale da rendere necessario uno strappo alla regola.

“Sono tornata qui, come mi avete chiesto” annuncia la donna, lo sguardo fisso davanti a sé. “Qui dove tutto e cominciato, dove tutto è finito.” Il silenzio stesso pare trattenere il fiato. Lei presta orecchio, qualcuno ha già qualcosa da dire, non sa resistere dal prendere la parola. La fronte cerea della donna si aggrotta.

“Sì, è possibile sia pericoloso. Lo è già stato quindici anni fa, quando l’angelo mangia-cadaveri ha spiccato il volo. Vuoi dire che non saremmo dovuti venire?” C’è una velata minaccia nella sua voce, che pure resta calma. È sufficiente per trasformare le altre proteste nascenti in un borbottio scontroso.

“Qualcuno è tornato da un luogo lontano. È un fratello tra i fratelli, anche se ha perduto la strada tanto tempo fa. Dobbiamo accoglierlo. E poi c’è la lettera della dama bianca. C'è chi potrebbe essere interessato ad averla.” Si guarda intorno e il vento attraverso i vetri rotti ringhia e sibila come una bestia incatenata.

“Se ci sarà anche lei? Certo, mi ha detto che sarebbe venuta. Lei non può mancare, se c’è il suo Principe. Lei gli resterà sempre accanto.” La donna si perde dietro a un pensiero lontano, poi scuote il capo.

“Sarà una lunga, lunga notte” sospira.

Torna a fissare l'Oracolo. E l’Oracolo fissa lei.

CREDIT: Federica Soprani e Monia Zanetti

Voce 27

“…Le lancette dell’orologio segnavano le 10:00 in punto… Tutto si muoveva a rallentatore, ricordo che Gavrilo mi diresse uno sguardo, un ultimo lungo sguardo di saluto prima di lasciarmi la mano ed uscire dalla locanda… Come potrei dimenticare quella mattina?...

Era il 28 Giugno del 1914 e a Sarajevo era caldo e il cielo terso… Ma poi fu il caos… La bomba di Vladij esplose troppo presto e furono i due colpi di Gavrilo che raggiunsero Francesco Ferdinando, il maiale… Noi fuggimmo via… Mischiati tra la folla urlante che si accalcava… La “Mlada Bosna” aveva avuto il suo sangue… Per lei era sufficiente…

Non rividi più Gavrilo, mai più… Seppi in seguito che venne tratto in arresto e morì poi in condizioni pietose nel carcere di Terezin… I suoi occhi azzurri come il cielo di quel giorno saranno miei compagni per l’eternità… E’ per quegli occhio azzurri che continuo la mia “lotta”, anche oggi che la vita mi ha lasciato…Non siamo certo stati noi sei a far si che scoppiasse la guerra…

La colpa è dei potenti… Hanno fatto del nostro gesto di ribellione un pretesto, hanno fatto di un martire un terrorista!... Ti starai chiedendo perché ti racconto questo… Ebbene voglio che tu comprenda che tutto viene strumentalizzato per il fine dei padroni, dai governi, dalle autorità… Voglio che tu comprenda che fino a che vi è un “padrone” saremo trattati da servi e schiavi… Perché tutto deve sottostare al potere costituito e autoproclamato?...

Per noi Ravnos la casa è il mondo, le mura le montagne, il tetto il cielo… La casa è di chi la abita ed è vile chi lo ignora… Il tempo è dei filosofi e la terra di chi la lavora…

Ricorda le mie parole… Le parole di Danica : “L’Anarchia non è una bomba… Ma uguaglianza nella Libertà..."

CREDIT: Sebastiano Ravanetti

Voce 28

“…Le fiamme delle candele ardevano senza alcun tremolio… Immobile e saldo, quel fuoco consumava lo stoppino facendo colare la cera sul porta candele in ferro… L’aria era opprimente e alla base del grande crocefisso in legno si alzavano volute di fumo dagli incensieri barocchi, unica nota stridente nella ostentata essenzialità di quella piccola cappella romanica nascosta nel ventre della terra…

V’erano diversi uomini li, erano in ginocchio, nudi e in atteggiamento di preghiera… Fronte ad ognuno di loro poggiata a terra v’era una tunica nera nella quale spiccava una “Croce”… Quella croce… Era bianca… Bianca come ciò che rappresentavano… Candida e pura come la loro anima… al lato rose anch'esse candide come le loro anime immortali...

Il silenzio venne infranto da un’unica voce che iniziò a intonare il “Da Pacem Domine”… A quella voce presto le altre si aggiunsero in un coro senza inflessioni, saldo e forte nel riflettere la loro fede… All’unisono tutti strinsero il cilicio posto sull’addome senza emettere alcun gemito continuando ad intonare la lode… La morte non li avrebbe intimoriti… Il dolore non li avrebbe sfiorati…

Terminato quel coro, iniziarono a coprire la loro nudità… In silenzio… Sopra ai vestiti, alle protezioni in kevlar, ai giubbotti tattici, indossarono la tunica in modo che quella croce bianca fosse l’ultima cosa che i loro nemici potessero vedere… Terminato quel rito di preghiera uno degli uomini prese tra le mani un fucile e si volse verso i suoi confratelli caricando l’arma con un gesto secco ed iniziò: “Pater Noster…”

CREDIT: Sebastiano Ravanetti

Voce 29

Principato di Modena

“Mio Principe, mi avete fatto chiamare?” Il giovane era in piedi nell’angolo del ricco salotto: guardava dritto di fronte a sé il suo interlocutore intento a rimirare gli antichi affreschi della villa.

“Si, dobbiamo iniziare a prepararci in vista del Concordato di Parma. Non voglio sfigurare di fronte al Duca”. L’uomo annuì.

“Comprendo, informo subito il Siniscalco...” L’altro alzò una mano in un gesto secco e tanto bastò per interrompere il suo interlocutore.

“No. Ho deciso che andrò io direttamente. Il Siniscalco rimane qui per ogni evenienza”. L’altro non si scompose.

“Mi permetto di far notare quanto ciò possa essere rischioso, vostra Eccellenza. Se ci dovessero essere dei problemi la stabilità stessa del Dominio sarebbe messa a rischio...”. L’uomo si girò, lisciandosi la barba con la mano.

“Ci saranno sicuramente dei problemi. Ve ne sono sempre di questi tempi. Ma confido che il mio ospite e la sua Corte siano ben preparati”. L’altro non accennò nessuna reazione scomposta ma fece un passo avanti.

“Avete così fiducia nei confronti del Signore di Parma?”

Il Principe accennò un mezzo sorriso.

“Assolutamente no, non ho fiducia in nessuno, come ogni buon Principe dovrebbe. Non è nemmeno cieca fede in antiche tradizioni che tante e tante volte ho visto disonorate. Ho fiducia in questi tempi di guerra, di quanto essi possano spaventare ognuno di noi, anche il più intrepido. Il Duca Antonio Giovanni è un signore che ben conosce le minacce di questo mondo ed il prezzo che dovremmo pagare in caso di sconfitta. Tanto si potrà dire di lui ma sicuramente mai nessuno potrà chiamarlo incosciente: sa perfettamente cosa sta rischiando… cosa rischiamo tutti noi. Ecco, confido in questo: nel rischio comune e nelle precauzioni che da esso deriveranno”.

CREDIT: Tommaso Muzzini

Voce 30

Principato di Ravenna

Finì di leggere i documenti che aveva sulla scrivania e si distese, affondando nello schienale della poltrona.

Le cose ultimamente si stavano facendo fin troppo complesse: negli elysium del Dominio della Pentapoli erano ricomparsi gli stendardi della Torre d'Avorio e sempre più Fratelli tornavano per reclamare per sé un rifugio nel principato, rinnovando i giuramenti alla Setta.

In queste notti, molti lo chiamavano “Principe”...e questo peso per lui era gravoso come non mai.

Si accese una sigaretta, un'abitudine mortale di cui non era ancora riuscito a disfarsi e lo sguardo si posò sulla maschera di porcellana vicino al posacenere. Provò l'irrefrenabile impulso di indossarla, ma resistette, nonostante fosse ogni notte più difficile.

“Vigliacco...” lo schernì la voce dentro la sua testa. Voleva distruggerla, lo voleva con tutto sé stesso, ma sapeva che non ce l'avrebbe mai fatta. Abbandonarla? Ci aveva già provato una volta, con scarsi risultati. In fondo, sapeva di aver bisogno di quella bianca faccia di porcellana, ora più che mai.

Il vecchio telefono dello studio squillò: “Lunga notte, Principe. Il vostro autista attende.”

Indossò il cappotto e fece per uscire dal rifugio, quando si bloccò di colpo. Il Duca Giovanni aveva invitato lui e la sua delegazione mesi prima. Ci sarebbero stati Fratelli importanti, accordi da stringere, vecchie alleanze da rinsaldare...sarebbe stato in grado di prendere le decisioni giuste?

Afferrò la maschera facendo una smorfia, poi uscì in strada. Avrebbe avuto bisogno di tutto l'aiuto possibile: anche di quello del Pavone.

CREDIT: Mirko Allegra

Voce 31

Principato di Bologna

Lo storico Principato di Bologna nella settimana degli incubi era retto dal principe ventrue Aristide Isolani, quando un attacco a sorpresa del Sabbat, come molti ve ne furono in quelle notti nel mondo, portò alla sua morte ultima.

Il dominio, diviso fra consorterie rivali che Isolani era riuscito con l’esperienza e l’alleanza di altri principi italiani a mantenere sotto controllo, cadde subito nel caos. Una rivolta interna per la successione destabilizzò ulteriormente la società dei dannati, proprio negli anni in cui essi avrebbero dovuto fare fronte comune davanti alle minacce della Seconda Inquisizione e della nuova strategia terrorista del Sabbat.

La situazione di scontro fratricida si risolse in una tregua, fra un gruppo scissionista proclamatosi autarchico, condotto dall’autoproclamato “tribuno del popolo” Lodovico Isolani, progenie del principe distrutto, e ciò che restava della Camarilla, sotto la guida del nuovo Principe toreador Antonio Bentivoglio.

La nuova comunità autarchica si ritira quindi dalla città di Bologna e, pur dimostrandosi disponibile ad accettare di essere sottoposta ad una sorveglianza da parte di alcuni emissari della Camarilla e la mediazione della famiglia Giovanni, cerca una propria via. Isolani ha trovato inoltre per questa sua iniziativa il supporto, o forse la tolleranza, di un gruppo di anarchici che già occupava la periferia bolognese e di una nidiata di nosferatu nel sottosuolo.

Nel frattempo Bentivoglio si sta affrettando a completare il definitivo ritiro dalla scena pubblica del Principato e delle sue influenze sul territorio, con qualche anno di ritardo rispetto ai suoi colleghi di altri domini in Italia.

CREDIT: Arturo Parise

Voce 32

Dominio di Reggio Emilia

La Luna illuminava debolmente la sagoma della Pietra, che si innalzava al di sopra della nebbia che avvolgeva la vallata. “Fermati qui”, disse e scese a contemplare il panorama notturno.

Il Dominio di Regium Lepidi. Territorio che il Clan dei Re, più di duemila anni prima, strappò dal controllo dei Gangrel che dominavano le popolazioni celte e liguri, quasi come numi tutelari. Quel territorio così piccolo, stretto tra il potente Ducato di Parma e il Dominio di Modena, per molti secoli era stato territorio di aspri conflitti tra i mortali, maschera delle più oscure e tremente lotte tra Cainiti.

Aprì la valigetta e rilesse alcuni passaggi dei fascicoli che vi erano contenuti. Per alcuni anni, fra il 2001 e il 2007, dopo alterne vicende, il Dominio sembrava avesse raggiunto una condizione di stabilità, sotto l'egida di Melania da Rossena, ma strane ed oscure vicissitudini lo avevano attraversato. Molte notizie erano state classificate al massimo livello di riservatezza, mentre altre erano custodite dai Tremere a Vienna... almeno sino alla distruzione della loro Piramide. Si sapeva solo che, fino al 2007, i Cainiti a Reggio erano una realtà solida e numerosa e che la Camarilla manteneva il controllo del territorio. Poi, qualcosa, un misterioso potere, si era ridestato. I rapporti erano frammentari e rasentavano la superstizione e la follia. Poi nulla. Dal 2008 gli Anziani erano spariti e i Cainiti erano svaniti dal Dominio quasi completamente, salvo qualche gruppo indipendente.

“Solo superstizioni” pensò. Poi lo sguardo andò alla Pietra, che dominava l'orizzonte. Un misterioso brivido lo attraversò. Scacciò da sé il pensiero delle leggende che dominavano quei luoghi. Salì in auto “E' ora di andare. Bisogna radunare i Cainiti rimasti sul territorio. Il Duca di Parma è ricomparso e la Camarilla deve ristabilire il suo potere a Reggio.”

CREDIT: Roberto Baldini

Voce 33

Principato di Trento

Il rappresentante del Dominio di Trento, un toreador è chiamato 'Tutore' per i suoi numerosi agganci culturali negli ambienti cainiti. Dal 1999 è riconosciuto Primogen del principato di Bolzano. Come tale è riconosciuto anche dal principato di Trento/Rovereto e, grazie all’accordo successivo, dal dominio di Parma.

Preferisce i giochi politici dei semplici uomini piuttosto di quelli cainiti, dove vede mancare il gusto del bello. Pur agendo da consigliere del Principe (e della Principessa che poi verrá al posto del precedente) preferisce occuparsi di mantenere stretti contatti di reciproco riconoscimento soprattutto con il vicino principe brujah di Trento/Rovereto.

Fece già parte di ambascerie nel territorio di Parma nel periodo 2000-2003; tra i territori di Bolzano e Parma esisteva un accordo di reciproco riconoscimento del prestigio e delle cariche ricevute.

Nel 2005 il prestigio del principato di Bolzano inizia a calare, alcuni fratelli preferiscono abbandonarlo o diventare autarkis. Tutore gestisce insieme ad altri il passaggio ad un nuovo principe.

Nel 2008 sbandati sabbat attaccano il dominio e trovano poca resistenza. Il potere del principe svanisce. Tutore rinsalda i rapporti con il vicino principato di Trento/Rovereto. Mantiene il suo rifugio nel territorio altoatesino ma fa riferimento direttamente al Principe di Trento.

La ripresa delle attivitá nel dominio di Parma interessa anche il dominio di Trento. Il principe decide di inviare quale ambasciatore proprio Tutore, uno dei pochissimi a ricordare i patti stipulati a suo tempo tra i territori. Anche a Trento infatti nel corso degli ultimi 15 anni ci sono stati importanti cambiamenti al vertice; principe e primogen a parte poche eccezioni sono cambiati e i legami tra territori lontani si sono sfilacciati.

“Duca Antonio Giovanni, le notizie riguardo al Vostro ritorno nel dominio di Parma Ci hanno destato vivo interesse. In ragione di una ripresa dei rapporti che in un passato neppure tanto lontano Ci hanno permesso reciproco rispetto e riconoscimento, Vi mando quale nostra ambasceria il toreador Tutore, che giá in passato avete voluto accogliere nel Ducato. Anche il dominio di Trento è stato recentemente scosso dagli eventi della Gehenna, o cosí abbiamo creduto; forse si è trattato di una fantasia, forse no.

Il Primogen Toreador di Trento.
CREDIT: Marco Fontana

Voce 34

Vi è una tenebra profonda e dolorosa in questa mia anima dannata. Un cuore di vecchio metallo arruginito macchiato dei più abominevoli peccati. Ho compiuto le mie scelte, accettato patti blasfemi in cambio di effimero potere. Non cerco la redenzione, ne rifuggo le mie innumerevoli colpe. Non sono una vittima nè un carnefice, ma solo un pazzo convinto di poter dominare i propri dèmoni. I quali mi hanno schiacciato ed umiliato in questa fredda cella di carni ed ossa stentoree.

La mia anima è un sudario mal cucito, immondo delle più ignobili atrocità. Uno straccio assassinato da sordidi sorrisi e modi affettati da galantuomo.

La morte un prezzo che ancora non sono in grado di pagare, poiché il fio sarebbe troppo alto per la mia patetica e silente coscienza.

CREDIT: Antonino Galimi

Voce 35

Il silenzio cadeva in drappeggi sontuosi dall’alto soffitto della sala grande. La cenere fredda che dormiva nel camino nel buio sembrava polvere di luna. Da tempo immemore le fiamme disertavano quel focolare, e il gelo aveva decorato con cristalli di brina le pareti annerite da secoli di luce e calore.

Ma l’uomo che, in piedi davanti alla parete, sembrava seguire con lo sguardo il guizzare di quel fuoco ormai estinto, non si curava del freddo, né del silenzio, né tanto meno dell’oscurità. Anzi, il suo volto aveva lo stesso pallore lunare della cenere, le sue membra erano gelide come la pietra antica della fortezza, e tutto il buio della notte sembrava essersi coagulato in fondo ai suoi occhi. Rigido e immoto com’era, avrebbe potuto essere solo uno dei pochi mobili che decoravano la stanza spoglia.

Anche quando l’aria intorno a lui parve riverberare, come se un soffio di vento avesse preso una seppur eterea forma, lui non si mosse. Solo, una piega si formò nella perfezione alabastrina della sua fronte, come una crepa su una lapide intonsa.

Fu allora che le voci lo raggiunsero, di nuovo, concitate, stridule. Lo premevano da ogni parte, un coro insistente, un richiamo irresistibile che tentava di strapparlo fuori da se stesso. Il riverbero si ripeté, questa volta accompagnato da un sospiro dolente, e le voci tacquero all’unisono. Il buio si gonfiò come una tenda catturata dal vento, come un manto nuziale sollevato da dita di paggi invisibili. Il volto di pietra si deformò, la bocca simile a una ferita si arricciò in una smorfia amara e terribile.

“Che cosa vuoi ancora?”

Fu solo un sibilo sommesso, sfuggito dai denti digrignati.
Un secondo sospiro risuonò, più vicino, e nell’oscurità palpitò un velo candido, che sfiorò la spalla dell’uomo.
Lui si voltò, con un ruggito bestiale, il volto stravolto dalla rabbia, e la mano adunca scattò per ghermire quella carezza eterea. Invano.

“Che cosa vuoi ancora?!” ripeté, questa volta la sua voce risuonò stentorea, lacerando il silenzio.

Con pochi passi raggiunse la porta, la spalancò e poi la chiuse fragorosamente alle proprie spalle. Così percorse l’intero piano del castello, e l’interminabile teoria di sale, saloni, corridoi rimbombò dei suoi passi, delle deflagrazioni delle porte sbattute. Così corse, e corse, e continuò a correre, il predatore divenuto preda, l’uomo al cui cospetto una città intera aveva tremato, per infinite notti. Le voci lo inseguivano, gli sbarravano la strada, e non bastava il fragore dei suoi passi a zittirle. Ma non era da quelle che stava fuggendo. Anzi, non fuggiva affatto. Sapeva che non vi era un luogo in cui lei non lo avrebbe trovato.
Quando infine raggiunse gli spalti del castello il cielo notturno era piombo sopra il suo capo. Il vento catturò i suoi lunghi capelli in un turbinio, e ancora la sua voce si levò, tonante, furiosa.

“Che cosa vuoi ancora?!”

E infine lei si mostrò, un’ombra bianca emersa dalle tenebre della notte. Un velo candido le nascondeva il viso, ma lui sapeva bene cosa si celava sotto quelle pieghe impalpabili. Quale spaventosa dolcezza. Quale pietosa accusa. Ancora le voci lo raggiunsero, remote, e tuttavia prossime, troppo perché lui potesse ignorarle.
Le zittì con un ruggito, agitando le braccia contro come se scacciasse uccelli rapaci bramosi della sua carne.

“Non te ne andrai mai, vero, maledetta?”

Le labbra sotto il velo si schiusero come un fiore notturno e composero un sussurro sommesso: “Jamais sans toi.” Mai senza di te.
E allora il Duca Antonio Giovanni gettò indietro la testa e proruppe in una risata latrante che parve mandare in frantumi il cielo notturno.

CREDIT: Federica Soprani

Epilogo 1

Vissi d’arte/vissi d’amore
Non feci mai male ad anima viva...
Tosca

Raggi di luna piovono dalle assi sconnesse del soffitto. La polvere dei secoli si gonfia in volute lievi come mussola. Nel pulviscolo argenteo ombre di antichi ballerini ondeggiano rapiti dalle note di un valzer che ha perduto le sue note da tempo immemore.

Eppure lei lo ode ancora, quel valzer silenzioso. Con le dita diafane ricama l’aria con un solfeggio appena accennato e la sua voce preme sulle labbra, modulando la vecchia melodia.

E all’improvviso il tempo pare flettersi, e le vetrate coperte da drappi di ragnatele esplodono di luce. La sala da ballo risplende come uno scrigno e i danzatori di polvere ora sono carne e sangue, stoffe impalpabili che roteano come una tempesta frusciante, gioielli sfavillanti che riflettono lo splendore di mille candele. Allora i suoi piedi ritrovano il ritmo della danza, e braccia forti la cingono, conducendola nel turbine sfrenato di quella folla festante.

È solo un attimo, ma in quell’attimo lei riesce a sentirsi ancora libera, felice. Viva.

Il buio torna ad avvolgerla. Il silenzio ricade come un sudario. La polvere che mulinella tra i raggi di luna irride lo sfavillio degli antichi candelabri.

Chissà se lui tornerà?
Da quanto dura questa cantilena, questa sciarada?
Chissà se lui tornerà?

Eppure in questa notte, la notte di tutte le notti, lei sente, sa, che qualcosa è cambiato. Che il suo perduto amore si è risvegliato. Può quasi vederlo, attraverso l’oscurità che avanza, solo un’ombra più nera delle ombre, e ha sangue negli occhi, sangue sulle mani. Il suo Amico. Il suo Signore. Il suo Carnefice. Antonio.

La polvere ingioiella lo strascico della veste sontuosa. La tiara risplende sulla fronte indegna come un sigillo di ghiaccio. Incede con passo regale l’Imperatrice senza Impero, la Duchessa senza Ducato, la Donna senza Amore.

Ma finché lui tornerà, nella notte, rimarrà l’odio a tenerla incatenata a Parma, e lui a lei, nei secoli dei secoli.

Jamais sans toi

CREDIT: Federica Soprani

Epilogo 2

Il rientro al rifugio non fu semplice. Evidentemente aveva ragione chi aveva immaginato che un incontro tanto numeroso di fratelli avrebbe attirato l'attenzione dei Santi. Si poteva rinunciare per amor di sicurezza? Forse sì. Ma poi? Come vincere l'apatia degli anni trascorsi in sostanziale solitudine?

Più punti della strada erano sorvegliati, Tutore se ne accorse facilmente. Forse la sua auto era conosciuta, forse no; non poteva correre il rischio. Per quanto possibile, decise di viaggiare senza fermate.

Nel buio, gli tornarono immagini e discorsi della notte trascorsa. Il duca Giovanni era tornato; aveva mostrato, se possibile, un lato ancora più terrificante del solito. Eppure nei dialoghi era il solito ospite di buon gusto.

Molti nemici aveva dovuto spazzare via per riprendersi ciò che era suo, ma aveva saputo cancellare le ombre sulla legittimità del suo ducato? Solo in parte, certamente. Insomma, quale principe può davvero definirsi legittimo? Machiavelli ce lo ha insegnato: nessuno. Perciò ben venga il sanguinario duca e la sua capacità di controllare un territorio denso di insidie di ogni genere. Eppure, eppure...

...Tutore ricordava in particolare i discorsi del Khan e di Morte Rossa. Avevano davvero torto? Quale necessità di un Elysium in quest'epoca di tragedie e mutamenti? Meglio un gruppo libero e in movimento! Così si erano ritagliati uno spazio...che il duca ha subito chiuso. Chi è il vero mostro tra loro? ...E Morte Rossa aveva colto nel segno. Quanti fratelli erano caduti per i capricci dei Giovanni? Quanti rituali sanguinari erano avvenuti per un progetto personalissimo e persino dannoso? Perchè nessun primogen aveva osato ascoltare Morte Rossa e prendersi il dominio?...

Poi Tutore ripensò a quella frase sul giornale che tanto lo aveva colpito 30 anni prima, quando aveva ripreso a fare politica. "I mostri siamo noi", diceva. E' vero, siamo mostri tutti, pensava. Quanti fratelli erano caduti per mano dei Santi nel dominio di Bolzano? E si era salvato solo lui. Senza usare il tono del Duca Giovanni, ma alla fine li aveva anche lui usati per mera sopravvivenza. I mostri siamo noi.

E allora che i fratelli si organizzino ancora, per trascorrere, ancora una volta, la lunga notte.

CREDIT: Marco Fontana

Epilogo 3

Gli ospiti avevano lasciato la fortezza quando ancora l’alba era lontana. Alcuni di loro avrebbero dovuto affrontare un lungo viaggio per tornare alle proprie terre, ai propri rifugi, e i recenti avvenimenti avevano confermato, se ancora ce n’era bisogno, quanto pericoloso fosse per gli appartenenti alla loro stirpe muoversi in gruppi troppo numerosi, ora che la notte non era più in grado di proteggerli.

Eppure erano sopravvissuti a ogni insidia. All'arroganza degli anarchici, alla follia e alla ferocia ammantate di fervore religioso della Seconda Inquisizione.

Nonostante i nemici affrontati, nonostante i pericoli che ancora avrebbero potuto incontrare sulla via del ritorno, ciascuno di loro si sentiva più forte, più sicuro. Il rinnovato Concordato voluto dal Duca aveva ricordato ai figli di Caino una verità che anni di persecuzioni avevano tentato di cancellare, con la stessa ostinazione con cui gli uomini stavano tentando di cancellare la loro stessa stirpe dal mondo dei diurni.

Non erano soli.

Nel rinnovato obliò in cui era piombata l'antica fortezza il Duca fronteggiava da solo i propri fantasmi. Ironia dalla sorte, ora che avrebbe potuto affrontarli essi sembravano acquietati. Ma non si illudeva che quella tacita tregua sarebbe durata. Eppure, nonostante lei avesse fatto di tutto per farlo apparire debole, i suoi fratelli non lo avevano tradito, i suoi figli erano rimasti al suo fianco a combattere in suo nome. Quella consapevolezza lo colmava di feroce esultanza.

Anche quando avvertì l'oscurità sospirare alle sue spalle, il silenzio sollevarsi e poi ricadere come un velo candido, non provò il consueto moto d'ira. Che lo seguisse, ora, e si dolesse notte dopo notte sulla scia dei suoi passi, fino ai confini dell'alba. Erano prigionieri l’uno dell'altra, resi immortali dall’amore e dall'odio. Due volte dannati. Una preghiera mutata in blasfemia. Ma stava bene così.

“Lunga notte, mia signora” la schernì, le labbra deformate da un sorriso che non raggiungeva gli occhi. E poi su avviò dove le tenebre si accalcavano le une sulle altre per sfuggire all’aurora imminente.

CREDIT: Federica Soprani

Epilogo 4

L’interno del taxi puzzava come la merda del demonio. Sangue, sudore e alcol si fondevano assieme alla nicotina che impregnava i sedili sgualciti. Un mix disgustoso che di certo non era di aiuto in quel momento a Kurt, l’autista personale di Schultz nonché ghoul del clan Brujah.

L’euforia per essere sopravvissuto a quel casino alla Fortezza dei Rimpianti era passata, presa a calci dalla consapevolezza di dover trovare, non si sapeva bene dove, la forza per arrivare alle rovine del Jumbo, una ex-discoteca dismessa dove si ritrovava quel che rimaneva del Sindacato. Lo skinhead faticava a respirare e sentiva lo stomaco stritolato dalla nausea.

Persino guidare era un casino del cazzo viste le ampie ferite sulla mano, fasciate provvisoriamente con del nastro isolante. Il volante era scivoloso come una saponetta in un cesso. Un regalo di quegli invasati che avevano provato ad assaltare la fortezza ed erano finiti polverizzati.
Eppure, in quel rendiconto disastroso, il tassista teneva l’acceleratore a tavoletta, facendo filare il catorcio come un missile tra le vie inondate di rifiuti e pioggia. Il taxi conosceva la strada che portava a casa.
Giusto per non perdere il vizio e per cercare di restare sveglio l’uomo si accese, non senza fatica una sigaretta che aveva lasciato a metà nel portacenere ingombrato di mozziconi. In quel momento andava bene anche quella.

Sul sedile posteriore del veicolo, Dutch Schultz si muoveva appena; il vampiro americano era parecchio malconcio anche se, lentamente, le ferite profonde si stavano chiudendo come per magia. Il culo di essere immortali. Un fruscio improvviso, seguito da una strana sensazione portò lo skinhead a guardare con fatica lo specchio retrovisore. I suoi occhi, sbiaditi per la stanchezza incrociarono sullo specchietto quelli del killer statunitense, immersi nella penombra. “Buongiorno principessa…” esordì il nazista con voce affaticata, “il riposino è stato di suo gradimento?”

Jerry, seduto sul retro era come in trance; istintivamente si portò la mano al petto, attraverso i brandelli di camicia. La testa gli girava ed i sensi erano confusi: Morte Rossa, il Duca, il fantasma di Maria Luigia e l’assalto della Seconda Inquisizione. Era sopravvissuto in qualche maniera ed ora si trovava nel taxi del ghoul. Fuori la pioggia si era fatta meno fitta ma non per questo meno insistente. La memoria di quello che era appena accaduto all’Elysium, come un fiume in piena lo investì, riempiendolo di dubbi. Anche questa volta la Bestia era tornata a nascondersi nella sua anima, lasciando al suo posto un senso di stordimento e di vuoto, come mai prima era successo.
Le parole del fantasma della defunta Duchessa di Parma lo tormentavano.

“Mi stai ascoltando o ti fai solo i cazzi tuoi?” lo riprese Kurt, mettendo in mostra i suoi denti scheggiati. Il volto del giovane tedesco riportò Jerry alla realtà. Ed era brutta almeno quanto lui. Non è stato un sogno… Era stato tutto dannatamente reale e solo il Padreterno sapeva come diavolo avevano fatto a venirne fuori con ancora addosso la pellaccia.“

"Ti sento, nazi della malora. Piuttosto... dove siamo?” disse con voce catramosa per il dolore l’americano per poi tossire violentemente.
“Domanda idiota. Sul mio taxi.”
“Riconosco la puzza.” rispose torvo Jerry mentre osservava, attraverso lo specchietto retrovisore gli occhi dello skin aprirsi e chiudersi senza sosta. Il tassista, mentre guidava a tutta velocità si portava febbrilmente la mano sinistra sulla spalla, cercando di tamponare la ferita che continuava a sanguinare. Il nazi era veramente malconcio ed era messo quasi peggio che il suo taxi.

“Ce la fai a guidare?” chiese Jerry mentre, come in un rito intoccabile, riempiva, nonostante le ferite subite, una pallottola dopo l’altra il caricatore della pesante Mauser. “Non ti preoccupare. Riuscirei a portarti al Jumbo anche da morto. E per colpa tua un altro po’ e lo ero per davvero, furbone.” rispose, cercando di ironizzare Kurt, seppur consapevole che tutti e due gli occupanti di quella macchina messi assieme non facevano una persona sana.

Adolf, impettito accanto alla Madonna Nera di Chestokowa sembravano continuare la loro interminabile chiacchierata sul cruscotto sotto lo sguardo attento di San Franceso attorniato da miriadi d’animali. In quel momento, in quel taxi, le immagini dei santini parevano le uniche con la voglia di parlare. Radio Tristezza, incredibilmente, era spenta e al suo posto il canto strozzato del motore era ricoperto dal continuo acquazzone che sembrava non avere mai fine. Un ultimo click metallico, seguito dallo scatto del carrello dell’antiquata arma di Schultz attraversò spettrale l’aria. Jerry, messo il colpo in canna, aveva riposto la pistola nel soprabito.

Lunghi ed interminabili minuti di silenzio in un’atmosfera che si era fatta di piombo, passarono lenti mentre i due uomini erano soverchiati dai propri pensieri.
Kurt e Dutch galleggiavano in quella notte inondata di pioggia in un mare di mezze verità e di cose non dette, di silenzi e misteri.

Dopo aver attraversato a tutta velocità un dedalo di vie labirintiche il veicolo, al bivio che portava alla rampa della tangenziale fece una brusca svolta sulla destra, imboccando la Via Emilia. Dutch poteva vedere il corpo dello skinhead attraversato dai tremori: il ragazzo era al limite. “Sei sicuro di farcela, nazi?” Riattaccò l’americano porgendo una delle sue silk-cut al tassista che, senza farsi pregare, la ficcò con rabbia tra le labbra insanguinate.
“Fino a prova contraria per poco eri tu quello che rimaneva indietro. Ringrazia la tua buona stella… sempre che tu ne abbia una.” lo riprese immediatamente il tedesco. "Non ti ho chiesto quanto sei furbo e forte, testa pelata” lo interruppe Dutch con rabbia, “ti ho chiesto se sei tutto intero.” “Sì e no” lo rimbeccò con un sorriso orribile lo skinhead mentre accesosi la sigaretta con l’accendi-sigari del taxi respirava il fumo profondamente.
“Se ti riferisci al buco nella spalla e a tutta la merda che ho sul muso non c’è problema: in guerra ho visto di peggio. Ogni volta che porti a casa una nuova cicatrice devi esser felice. Vuol dire che sei tornato vivo."

Nonostante l’uomo fosse ad un passo dallo svenire, il sarcasmo acido che lo contraddistingueva non veniva a meno. “Ma se per tutto bene intendi dell’altro ti rispondo in maniera diversa. Col cazzo che va tutto bene, per l’anima di Adolfo se la vuoi sapere tutta.”
Lo sguardo solcato dal dolore del ghoul si era fatto scuro mentre il sudore misto al sangue gli scivolava copioso sul collo.
“Spiegati meglio, nazi. Devo essermi perso qualcosa.” gli rispose torvo Dutch, intravedendo nelle parole dell’uomo una strana antifona già sentita altre volte.

“Detto fra me e te, Schultz non so chi sei e cosa cazzo il Duca voglia da te. Mi hanno pagato per portarti da lui, punto e basta. Ma quello che ho visto dentro quel castello è troppo. Forse, Dutch, ci sono alcune cose che dovresti spiegarmi. Se il Duca si fida di te non è detto che lo stesso valga per me o per i ragazzi del nuovo Sindacato.”

Jerry, si riappoggiò stancamente allo schienale del sedile posteriore usurato, come se le forze gli venissero improvvisamente meno. Con la testa reclinata il killer statunitense fissava la capotta usurata del taxi mentre una nuova sigaretta spiegazzata balenava nelle sue labbra sottili. Kurt, dallo specchietto retrovisore non lo perdeva di vista nemmeno per un attimo. Quella dannata notte di pioggia e misteri pareva non avere fine.

“Non ti dirò proprio un bel niente, nazi” rispose cupo Dutch, “ma se proprio non resisti alla curiosità ti lascio un promemoria.”

D’improvviso, come dal nulla, le luci dell’abitacolo cominciarono a vibrare come impazzite per poi spegnersi, seguite immediatamente dal cruscotto di guida del taxi il cui motore aveva smesso di girare. Il veicolo, fatti alcuni metri a motore spento, accostò vicino ad un marciapiede in parte divelto dalle erbacce. Fuori, tutti i lampioni al neon, dopo aver tremato come sotto una bufera si erano spenti come fiammiferi.
Kurt frenò, cercando di mantenere la calma.

Nel buio assoluto, reso assordante dalla pioggia che, inclemente si era fatta nuovamente feroce, l’unica luce presente era il brillio intermittente della sigaretta che illuminava flebilmente gli occhi grigi dell’americano.
Lo skinhead poteva sentire una brezza gelida spirare, così fredda da rendere pungente l’aria nei polmoni mentre, dallo specchietto gli pareva di vedere gli occhi di Dutch Schultz. La voce di Jerry, profonda e spaventosa, attraversò l’aria arrivando dritta al cervello del nazista. “C’è un motivo perché gli incubi si fanno sempre al buio. Non dimenticarlo mai.”

CREDIT: Giuseppe Pasquali

Epilogo 5

Il Principe guardava un'antica mappa. Solo il ticchettio dell'orologio scuoteva il silenzio della stanza nelle penombra delle candele.

"Guerra."
L'altro vampiro alzò lo sguardo per un istante mentre continuava a pulire la sua pistola automatica. "Ma contro chi?"

L'uomo tornò a volgere il suo sguardo, questa volta rimanendo fisso.
"Ora so qualcosa in più sul Duca, ho avuto la conferma di tante voci. Avere informazioni, in questi tempi più che mai, è un'arma che non può mancare al mio arsenale. Anche sui propri alleati riluttanti."

L'uomo seduto sul divano tornò a pulire la pistola mentre l'altro continuava ad osservare la mappa ed a disegnare confini immaginari.
" Parma è solida al momento, nessuno ha il coraggio di sfidare Antonio Giovanni. Forse i contendenti hanno appena posto i propri pezzi sulla scacchiera. Sta di fatto che questo Nuovo Concordato ci darà tempo e non dovremo preoccuparci di cosa tramano in quella città."

L'altro appoggiò il revolver sul tavolo. Di fianco ad esso sei proiettili.
" Reggio Emilia può essere terreno fertile per alleanze. Se riusciremo a stabilire il nostro Protettorato su di esse guadagneremo territorio ma dovremo lottare per esso."

L'uomo aprì il tamburo. Uno. Due. Tre proiettili.
"Ravenna è un alleato affidabile, al momento. Ma dovremo tener d'occhio anche quanto avviene nella Pentapoli. Bologna, quel territorio mi sconcerta. Troppi interessi contrastanti, troppi gruppi avversari. Troppe fragili alleanze rette da un solo individuo. Ho visto altre volte cadere dominii simili. Sappiamo attendere il momento propizio ma dovremo prepararci. Per prima cosa dobbiamo sbarazzarci degli anarchici, ci vorrà tempo, soprattutto perché dobbiamo evitare troppo clamore. I Santi ed i loro alleati ci osservano."

Il Principe si girò verso il suo silenzioso interlocutore.
" Chiama lo Sceriffo ed i suoi Guardiani. Voglio che iniziate a prepare il terreno."
Quattro. Cinque. Sei. Un secco movimento del polso. Un rumore metallico. Il revolver tornò nella sua fondina sotto l'ascella.
Il cainita si alzò e fece un gesto d'assenso.
Il brujah fece un passo avanti.
" Sai, hai avuto un lungo colloquio con il Duca. L'ho notato."

Una pausa, colma di significati non detti calò tra i due.
"Dimmi Zagabria, posso ancora fidarmi di te?"
Lo sguardo dei due si incroció per alcuni istanti.
"Come dite sempre voi Eccellenza. Non dovreste mai farlo."

CREDIT: Tommaso Muzzini

Epilogo 6

Fares era in un angolo del salone dei ricevimenti. Il malkavo fissava lacoonicamente un teschio dove il Duca aveva imprigionato degli spettri guardiani. Vedeva oltre il Velo, oltre la ragione e la follia. I suoi occhi erano delirio e verità, egli conosceva ogni segreto su Antonio Giovanni e quest'ultimo lo teneva spesso vicino a se, fino ad averlo nominato suo Delfino. Il Duca aveva uno strano timore dei folli, un rispetto inspiegabile, ma Fares non ne approfittava, anzi sembrava indicargli vie possibili con inaspettati e misterici consigli, adeguatamente tradotti dalle sue apocalittiche visioni.

"Fares." Mormorò con voce sepolcrale il Giovanni.
"Si... vostra grazia... nostro angelo cadavere, nuncio d'apocalittici destini, ultimo della vostra stirpe..."
Rispose Fares con lo sguardo sbarrato verso il soffitto a cassettoni dell'antica sala.
"Cosa ne pensi degli ospiti, di quello che sta accadendo?" incalzò il Duca, abituato agli atteggiamenti eccentrici del suo Delfino.
"Tutto gira intorno al sole, anche se questo fosse un sole morto e cadaverico. Tutto cambia, ma tutto è simile. Solo la prospettiva della gabbia è mutata... chi prima guardava da dentro ora è fuori e viceversa. I quattro cavalieri cavalcano ancora, la tempesta infuria e gli spiriti sono inquieti, presto si scateneranno... e cercano vendetta...su di voi... o nostro amato principe... la sposa-vedova vi piange e ama, ed il suo tormento è il vostro. Finché uno dei due esisterà, l'altro è in eterno vincolato... nessun Richiamo potrà strapparvi a lei...nessun rito potrà esiliarla... poi... si c'è un poi... ma ora non lo vedo più... è così confuso... o forse no..."

Il signore di Parma cercò di comprendere più passaggi possibili, mentre Fares usciva dalla Sala strisciando lungo le pareti. Alla porta Saifer lo aiutò ad uscire, poi guardò verso Antonio con la testa china.
"Buon Saifer, mio caro amico. Mio Custode. Da molti anni mi segui e da molti anni mi proteggi... anche da me stesso... un giorno tutto sarà reso. Un giorno tutto si compirà. Non temere."
Il Gangrel si inchinò d'istinto al suono della voce e finito di ascoltare disse: "La fedeltà non è un dono, mio Duca. È un premio che si conquista con ferocia e potenza. Voi avete la mia per tutto ciò che avete dimostrato. Io non mancherò mai al mio giuramento!"

Gli vennero in mente le parole che nella notte aveva scambiato con Dutch, Miranda, Raphael, Orfino, Shirley, Rattazzi, Gordon e Schiller. Sudditi e protettori del Ducato di Parma fin dal suo insediamento nel 1999. Tutti avevano, ognuno a suo modo, dimostrato una fervente fedeltà al dominio. Anche innanzi a determinare scelte lo avevano stupito, forse, cosa che non avrebbe mai confessato, anche inorgoglito.
Il Duca piegò il viso in un sorriso contratto e si voltò verso il tavolo dove vi era appoggiato il Concordato.

Ancora una volta il Nuovo Concordato era stato firmato. Principi e potenti avevano compreso la necessità di un'alleanza che prevaricasse odi ed inimicizie. In queste notti ogni principato era un'isola, lontana dalle sette, con regole di sopravvivenza proprie ed a volte piuttosto atipiche. Ogni anno lo avrebbero rinnovato, accettando un patto di sopravvivenza necessario e reciproco. In questo nuovo mondo dove si era risvegliato, loro non erano più i predatori, i macellatori di agnelli, ma bensì le prede. Loro che avevano attraversato i tempi, dato all'uomo la protezione e la benevolenza di un pastore con i suoi armenti. Loro che discendevano da Caino e che nel sangue avevano costruito e distrutto imperi, loro che li avevano visti nascere, crescere e spegnersi. Ora erano solo topi che si nascondevano tra le macerie dei loro antichi regni. La rabbia lo colse per un attimo e scagliò il tavolo contro la parete per poi sedersi pesantemente sul suo scranno ducale.

Ancora una volta si era posto sul trono di Parma ed aveva assaporato la paura dei suoi simili. Fissando i loro occhi velati e annusando come una oscura bestia l'odore del loro sangue. Aveva amabilmente parlato con i suoi ospiti, ritrovato antichi e fedeli fratelli con cui rimembrare tempi migliori e con la stessa facilità aveva strappato il cuore ad una giovane dannata. Senza provare alcuna emozione. In fondo i secoli gli avevano insegnato solo l'odio e la ferocia del più sordido complotto. Se avesse avuto un'anima, ora sarebbe più oscura di una tenebrosa notte senza stelle di solstizio invernale.

Saifer fecè un leggero inchino ed uscì.
Ancora una volta la sala era vuota. Silenziosa ad orecchie mortali.
Gli spiriti vincolati erano sempre più forti, sempre più adirati.
Socchiuse gli occhi nella sua naturale espressione di odio che l'accompagnava da secoli e percepii il Velo che lentamente si stava sguarciando.
Presto o tardi gli spettri di coloro che aveva trucidato sarebbero venuti a cercarlo. Il suo potere su di essi vacillava, la stessa Maria Luigia ne era una prova. La necromanzia di cui era maestro era debole e instabile dopo l'avvento del Maelstrom spirituale che aveva distrutto gli imperi di Stygia nell'oltretomba.

Sapeva che sarebbe stata questione di breve tempo ed i nemici mortali, i maledetti Santi, avrebbero avuto alleati ancora più pericolosi per il suo regno. Ma lui li avrebbe attesi ed avrebbe lottato così come sempre aveva fatto nella sua lunga esistenza al servizio della spietata Famiglia Giovanni. Perché se lo avessero attaccato, avrebbero dovuto colpire per ucciderlo. Quando colpisci un re devi essere sicuro che non si possa rialzare, ma Antonio era consono al rialzarsi e combattere, a divenire ancora più grande e feroce ad ogni nuova guerra. L'odio di cui si mutriva gli donava una potenza innaturale. La sua volontà sembrava non poter esser mai spenta.

Tra un anno tutti si sarebbero di nuovo riuniti, doveva solamente attendere e sopravvivere alla sua lancinante pazzia.
Così come solo un buon signore deve fare per la salvezza del suo amato regno.

CREDIT: Antonino Galimi